Ciao Nadia, dicci un po’ di te.
Sono nata a Marsciano da una famiglia di immigrati marocchini, ho 27 anni e frequento la facoltà di Economia. Siamo arrivati in Umbria negli anni ’90. Mentre mia mamma era incinta mio papà era già in Europa, tra Francia e Svizzera. Mia mamma mi raccontava sempre che appena arrivata parlava solo francese, quindi quando andava dal fornaio non la capivano, tornava a casa e piangeva, poverina, perché non riusciva ad esprimersi. In più i primi marocchini venuti in Italia erano tutti maschi, quindi non poteva frequentare nessuno.
La cosa è migliorata quando ha frequentato il corso per prendere la patente e il corso di italiano. Alla fine è stato un grande esempio di integrazione, dal Comune spesso l’hanno chiamata proprio per prenderla ad esempio di come l’integrazione sia una cosa possibile.
Come è stato vivere come una seconda generazione in un piccolo paese umbro?
Gli anziani del paese ci hanno sempre accolto in casa, addirittura hanno aiutato mio padre quando era in difficoltà con il lavoro. Quando i miei genitori sono arrivati qui la situazione era sì difficile ma la mentalità era più aperta. Non per cadere in una generalizzazione, ma secondo me gli immigrati più recenti di seconda generazione si trovano in un conflitto vero e proprio tra l’identità dei loro genitori e quella italiana. Io questo conflitto di identità l’ho subito più che altro alle superiori, quando c’erano più stranieri, e quindi mi sono dovuta confrontare con idee diverse dalle mie.
Ho avuto anche alcune difficoltà con la religione musulmana, perché io mi sento molto più libera. Quindi il conflitto è stato, più che sull’essere italiano o marocchino, sulla identità religiosa, diciamo culturale.
L’esempio che ti ha dato tua mamma ti ha reso la strada più semplice o è stato il contrario?
Ripensandoci adesso è stata più spianata rispetto a quella di tanti altri ragazzi nella mia situazione, anche di persone che conosco.
Da quando ero piccola, avevo 17 anni, frequento i servizi giovani e ho fatto sempre parte del mondo dell’associazionismo. Un progetto che porto sempre nel cuore è stato lo Young Angles. Il mantra di questo progetto era di collegare tutti gli angoli dell’Umbria,, e i giovani umbri, come in un cubo. Grazie a questo progetto ho fatto una formazione di psicologia e sui social, e da lì mi sono interessata al mondo dell’ascolto diretto e del social media management.
Un ricordo che mi porterò di questo progetto era il mettersi in gioco. Ci hanno sempre forzato a parlare in pubblico, ad esprimere le nostre idee, di fare cose creative.
Ho partecipato anche ad altri progetti che mi hanno fatto conoscere altre persone e fatto uscire un po’ dal mio guscio, essendo stata sempre ragazza timida, ed è uscita un po’ la mia vera personalità