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Ero una bimba straniera. Oggi insegno a non temere la diversità

L’educazione verso la tolleranza, il rispetto e l’accettazione del (apparentemente) diverso parte necessariamente dalla scuola. Proprio la scuola rappresenta il mondo di Elvira, da alunna e studentessa a insegnante. La particolarità? Anche…

L’educazione verso la tolleranza, il rispetto e l’accettazione del (apparentemente) diverso parte necessariamente dalla scuola. Proprio la scuola rappresenta il mondo di Elvira, da alunna e studentessa a insegnante. La particolarità? Anche lei, a suo tempo, era una nuova umbra.

Ciao Elvira, presentati in due parole

“Ho 29 anni e sono un’insegnate della scuola primaria. Mi sono laureata nel 2015 in Lettere Moderne e sto nella fase conclusiva della mia seconda laurea in Scienze della Formazione Primaria”.

Sei italiana, di origine kossovara, con genitori stranieri. Come è stata la tua infanzia dal punto di vista dell’integrazione?

“Dal punto di vista dell’integrazione la mia infanzia non è stata semplice, un po’ perché ancora la scuola non era pronta e così attenta a questo tema e in parte per il mio carattere, essendo molto timida e introversa. La lingua non mi era d’ostacolo, anzi ho iniziato a sostituire la mia lingua madre con l’italiano. Infatti in casa, anche con i miei genitori, parlavamo solo italiano”.

E la scuola come l’hai vissuta sotto questo aspetto?

“Ho fatto una scuola a tempo pieno e mi piaceva molto andarci. Mi ricordo che in prima elementare, appena imparato l’alfabeto, scrivevo ovunque e dappertutto: ero diventata grafomane.  Nonostante ciò, mi ricordo di aver fatto molta fatica ad essere accettata dai miei compagni di classe proprio in quanto il lavoro delle insegnanti da questo punto di vista è stato quasi pari a zero. Ciò era dovuto in parte al fatto che vedevano e sentivano che con la lingua ero spigliata, così come con il rendimento scolastico”.

Per te studiare è stato importante nel tuo processo d’integrazione?

“Lo studio era diventato un mio rifugio e riscatto dalla mia condizione di partenza, vedevo lo studio come l’unica cosa che mi facesse assomigliare ai miei compagni di classe e accettare dal mondo che mi che circondava. Spesso ciò mi provocava rabbia perché ho sempre dovuto combattere per affermarmi, farmi conoscere e non sentirmi dire ‘tu sei straniera!’ e le volte in cui ho sentito, ahimè, questa affermazione, ci sono sempre stata male. Io non mi sentivo diversa da nessuno: erano gli altri che volevano farmi sentire diversa da loro ed era difficile per me dimostrargli questo”.

Cosa ti ha spinto a diventare un’insegnante?

“L’amore, ma soprattutto l’appartenenza che sento alla lingua italiana e la voglia di trasmettere il mio sapere al prossimo, facendo attenzione alle difficoltà di ciascuno, piccoli e grandi, senza alcuna distinzione. Trasmettere la sete di conoscenza e l’amore per lo studio come unico mezzo per raggiungere i nostri obbiettivi. Ovviamente il percorso non è senza sacrifici e difficoltà, ma la soddisfazione finale ripaga di tutto. Vedersi dove si voleva essere, almeno nel mio caso, è la cosa che più mi ha gratificato nella vita. Da insegnante vorrei poter infondere coraggio, fiducia in se stessi, amore e gentilezza. Purtroppo certi valori si stanno dimenticando perché l’egoismo e l’individualismo che stanno dominando la nostra società hanno preso il sopravvento, facendoci dimenticare che siamo tutti esseri umani con sentimenti, emozioni e desideri”.

Secondo te, cosa dovrebbe rappresentare un’insegnante?

“Per me è  importante che ogni bambino senta la maestra come un sua alleata nella vita, un punto di rifermento (dopo ovviamente le figure parentali) nel suo percorso di crescita. È importante che fin da piccolo un bambino impari i giusti valori, impari ad essere umano e non un automa. Un essere pensante che può decidere cosa vuole diventare, cosa vuole fare, cosa vuole dare a questo nostro mondo per renderlo migliore di ciò che è. Vorrei poter insegnare che anche il più piccolo contributo può fare la differenza”.

Nel tuo lavoro insegni a bambini/e di varie età, e tra loro ci sono stranieri e seconde generazioni. Come vivono i bambini queste classi multiculturali?

“È difficile esprimersi perché sicuramente con uno spaccato di società come quello attuale, c’è ancora la paura dello ‘straniero’. Questa fobia è instillata ancor di più dalla nostra classe politica, che sta infondendo sempre più cattiveria e sta cancellando quei passi fatti negli anni fino ad ora verso una politica di integrazione ed inclusione verso il prossimo, che per quanto difficoltosa in parte ha funzionato, ma su cui ancora c’è bisogno di lavorare, in primis noi insegnanti”.

E gli adulti?

“Per chi ha potuto, come me, avere gli strumenti giusti, l’integrazione ha funzionato. Ma per chi non ha avuto la mia fortuna di poter studiare e di essere seguita da una famiglia attenta e premurosa, non mi sento di dire che l’integrazione abbia funzionato. Penso anzi che le politiche di integrazione sbagliate abbiano fatto sì che le persone si ghettizzassero da sole, volendosi fare forza tra di loro per affermarsi e dire: esistiamo anche noi”.

Trovi qualche differenza tra la scuola che tu hai frequentato e quella attuale che vivi da educatrice?

“Sicuramente ci sono stati notevoli passi avanti nella scuola da quando ero studentessa ad ora che sono un’educatrice. Avrei voluto anche io avere insegnanti più preparate e attente su questo argomento come ci sono oggi. Nel mio piccolo, come insegnante, attuo politiche di inclusione a partire dal rapporto con le altre insegnanti e tra i compagni di classe, facendo sì che la diversità di ciascuno sia un valore aggiunto per tutti noi e un punto di forza”.

Quanto è importante il valore della multiculturalità nel tuo metodo educativo?

“Nel mio metodo educativo è fondamentale la multiculturalità. Mi dà modo come insegnante di trovare sempre soluzioni alternative a adatte a ciascun bambino, mi fa misurare con difficoltà vere e proprie del mestiere, dandomi nuovi stimoli e punti di vista sempre diversi”.

Chiudiamo in bellezza: secondo la tua esperienza personale, cosa potrebbe fare di più la scuola per favorire maggiormente l’integrazione tra bambini fin dalla più tenera età?

“Penso che continuare a parlarne e ad attuare sempre più politiche di integrazione nella scuola fin dall’infanzia, con docenti motivati e preparati, sia l’unica strada percorribile. Se vogliamo questa è la sfida dell’insegnante: sconfiggere la paura del ‘diverso’, dello ‘straniero’, far capire che la diversità non nuoce e ci rende unici nel nostro genere, che dalla diversità possiamo solo apprendere e far tesoro di questa nuova conoscenza, ringraziando chi ci ha dato l’onore di poter conoscere culture e storie di vite diverse dalla nostra”.

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Inclusione, tolleranza e rispetto tra i popoli: come un’associazione perugina insegna la multiculturalità attraverso la musica e la cultura del Perù

Sono padre e figlia, si chiamano Marco e Margherita Ricci e condividono la passione per la cultura popolare latino-americana. Insieme hanno fondato l’associazione culturale Alma Andina Perugia. Siamo andati a conoscerli e…

Sono padre e figlia, si chiamano Marco e Margherita Ricci e condividono la passione per la cultura popolare latino-americana. Insieme hanno fondato l’associazione culturale Alma Andina Perugia. Siamo andati a conoscerli e ci siamo fatti raccontare come nasce questa passione.

Cosa è Alma Andina Perugia?
Un’associazione culturale nata a Perugia nel febbraio 2013 per promuovere e diffondere in Italia e nel Mondo la cultura popolare ed etnica latino-americana, in particolare quella andina, attraverso musica, danza e folklore.

Quali attività portate avanti nella vostra associazione?
Nel corso degli anni abbiamo organizzato e messo in atto esibizioni di musica dal vivo, sfilate di costumi tipici, cucina peruviana, mostre di artigianato e strumenti tipici. Da un paio di anni, un’attività molto importante è quella di corsi di strumenti musicali etnici latino-americani, ai quali partecipano bambini e ragazzi italiani e non solo…

Perché un gruppo di italiani a un certo punto sente il bisogno di diffondere la musica delle Ande del Perù… a Perugia?
L’associazione nasce in ambito familiare, da una coppia mista (Marco e la moglie peruviana, ndr). Da questa unione è nata l’idea dell’associazione, che è formata anche dai figli di Marco (tra cui Margherita, ndr) e da cittadini peruviani e italiani interessati al progetto.

Che tipo di lavoro c’è dietro a un progetto del genere?
MARCO: Prima di tutto, ci documentiamo tramite mia moglie e le sue conoscenze, e poi nel corso degli anni abbiamo approfondito la cultura, il folklore e le tradizioni del Perù direttamente sul posto, tramite la gente locale, grazie ai tanti viaggi fatti in loco.

Cosa vi affascina della cultura e del folklore andino?
MARGHERITA: A me sono piaciute da subito la musica ed il ballo, e man mano ho imparato ad apprezzare anche tutta la cultura in genere.
MARCO: Mi piace un po’ tutto di questa cultura, perché esprime bene il carattere, l’educazione e la dignità del popolo andino, sul quale ovviamente incide anche il rapporto con questa natura imponente. Le persone sono genuine, tutti ti salutano e questo in Italia a volte manca.

Quali sono le differenze con la musica popolare italiana?
La musica è suonata con strumenti che vengono dalla natura, fatti ad esempio con la corazza dell’armadillo (charango) o con canne di bambù (flauto di pan). Le canzoni riguardano soprattutto l’amore e il corteggiamento, ma anche la vita di ogni giorno. Poi all’interno della musica andina stessa ci sono tanti generi, a seconda della zona in cui vengono proposti, che variano nella lingua (dallo spagnolo ad idiomi millenari, come il quechua o l’aymara), nei temi, nel suono, negli strumenti usati e nelle danze.

E anche voi vi esibite nei diversi generi della musica andina?
In primo luogo cerchiamo di far conoscere la musica delle zone andina, privilegiando alcune tipologie di musica come il huayno, ma nel nostro repertorio presentiamo anche pezzi classici della musica popolare latino-americana.

Quali spazi cercate per promuovere questa cultura?

MARCO: Per ora abbiamo partecipato soprattutto ad eventi interculturali di vario tipo promossi da istituzioni o associazioni a Perugia in vari contesti (dall’Università per Stranieri a Palazzo dei Priori, passando per Piazza del Bacio o alcune sagre), anche se un maggior appoggio proprio dalle istituzioni non ci dispiacerebbe. Inoltre riteniamo molto importanti le scuole, per trasmettere ai ragazzi attraverso la cultura andina elementi come l’apertura, la
tolleranza e il rispetto verso gli altri.
MARGHERITA: Umbria Jazz (ride!). Ci piacerebbe poterci esprimere in manifestazioni grandi, in festival o eventi anche fuori Umbria, magari diventando un punto di riferimento nazionale per la promozione di questa cultura.

Vi sentite più artisti o divulgatori?
MARGHERITA: Artisti!
MARCO: Credo che nella nostra attività non si possano scindere i due aspetti. La cosa più importante è promuovere questa cultura, e pensiamo che l’arte e la musica siano dei veicoli importanti per raggiungere questo obiettivo.

Spesso noi siamo portati a considerare i peruviani semplicemente come “sudamericani”, mettendoli sullo stesso piano con altre numerose comunità continentali presenti nel territorio (a Perugia mi vengono in mente quelle di Ecuador, Argentina e Colombia). Qual è il tratto distintivo che vi colpisce di più e che secondo voi gli italiani non colgono?
MARCO: A livello somatico è difficile distinguerli per un italiano non abituato, io stesso fino a una decina di anni fa (conoscevo mia moglie già da dieci anni) facevo fatica. Lo stesso vale a livello linguistico, anche se le differenze di parlata sono presenti rispetto a una comune lingua madre (lo spagnolo, ndr). Prendendo in considerazione le due comunità più diffuse a Perugia, peruviani ed ecuadoregni, i peruviani sono forse più intraprendenti e socievoli. Inoltre, tratto comune a buona parte dei sudamericani, risalta l’allegria nell’affrontare la vita, l’amore per la musica e la danza.

Avete rapporti con la comunità peruviana e andina presente a Perugia e in Umbria?
Sicuramente, e partono già da prima della nostra fondazione. Cooperiamo con le varie associazioni di peruviani di Perugia per attività ricreative di vario tipo, in particolare quelle di danza, ed abbiamo avuto una collaborazione proficua con la Pastorale Latino-Americana di San Sisto a Perugia, nei loro eventi e nelle funzioni religiose. Ed abbiamo fatto attività anche comunità di altri Paesi del Sud America, in particolare quella dell’Ecuador.

Come vedete l’integrazione e l’inclusione a Perugia, in particolare riguardo alla comunità peruviana?
MARCO: Secondo noi i peruviani sono abbastanza integrati nel contesto perugino, perché partecipano a diversi eventi popolari in Italia, come le sagre. Inoltre sono una comunità ben vista perché considerata gente responsabile, che si comporta bene, lavora e non ruba.
MARGHERITA: I più giovani grazie alla scuola sono molto integrati con i loro coetanei, fanno le stesse attività e si sentono coinvolti nella società, sono più italiani che peruviani; anche se per loro è probabilmente più facile rispetto ad un adulto trasferitosi da poco.

Il vostro progetto può aiutare ad avvicinare i due popoli, almeno nella realtà perugina ed umbra?

Noi consideriamo la multiculturalità come una risorsa e una ricchezza per tutti noi. Un valido esempio di ciò sono le famiglie miste come la nostra, in cui i figli assimilano diverse culture in modo del tutto naturale ed egualitario. Come Alma Andina Perugia cerchiamo di coinvolgere nelle attività ragazzi italiani, stranieri, seconde generazioni unite
nell’apprendere, promuovere e diffondere una cultura particolare. Questo porta anche a diffondere sentimenti positivi, come l’inclusione, la tolleranza e il rispetto tra i popoli, attraverso la reciproca conoscenza, il confronto e lo scambio culturale. Sarebbe importante che anche alti organismi (come i governi) intensifichino certi progetti o
manifestazioni, allo scopo di favorire l’inclusione e la pari dignità di tutte le persone del Mondo.

 

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