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Da Gubbio al grande schermo: emarginazione, solidarietà e amicizia in “Mon amour, mon ami”

“È difficile sposare per finta qualcuno che ti ama davvero” È questa la frase che più colpisce nel corto di Adriano Valerio, “Mon amour, mon ami”. 15 minuti di vita…

“È difficile sposare per finta qualcuno che ti ama davvero”

È questa la frase che più colpisce nel corto di Adriano Valerio, “Mon amour, mon ami”. 15 minuti di vita vera e vissuta; due storie di emarginazione che si incontrano e si salvano, tra solidarietà, amicizia (e amore), in una Gubbio periferica, insolitamente distante. Il film è stato proiettato nel 2017 al Festival del cinema di Venezia e al Toronto Film Festival, dove ha raccolto grande consenso di pubblico e critica.

Siamo andati a vederlo al cinema Melies, a Perugia, per il Perso – Perugia Social Film Festival. C’era anche l’autore, che ci ha raccontato, prima e dopo la proiezione, alcuni aspetti della vicenda che non potevano apparire nel corto, per mancanza di tempo o perché accaduti dopo le riprese.

La prima domanda dal pubblico è ovviamente: “ma come è finita? Si sono sposati o no?”. Adriano sorride, chissà quante volte l’ha sentita. “Daniela dopo le riprese sembrava aver cambiato completamente idea. Di punto in bianco dice di voler sposare quell’uomo cui poco tempo prima, nonostante i grandi bellissimi cambiamenti che aveva portato nella sua vita, aveva chiesto di lasciare la casa in cui abitavano. Ma la cosa è ancora in forse, nessuno sa come andrà veramente. Quello che è sicuro è che trovarsi davanti alla macchina da presa ha completamente sconvolto la vita di queste due persone. Farsi filmare li ha portati a vedere la loro storia in modo diverso. Alla fine quasi tutti trovano una spinta particolare nell’essere protagonisti di un film. Soprattutto se si è in una situazione difficile.”

E in effetti la storia personale dei due protagonisti è stata difficile. “Tutti e due figli di famiglie di una certa importanza, lui di un imam di Casablanca e lei di un medico di Bari, prima di incontrarsi avevano entrambi seri problemi con l’alcool. Ho incontrato Fouad in un bar, gli ho offerto una birra e abbiamo iniziato a parlare. Mi ha raccontato della sua storia, e del suo rapporto con Daniela. Quando si sono incontrati hanno trovato nell’altro la forza per uscire dal tunnel. Quando abbiamo pensato di portare al cinema la loro vicenda ne erano molto felici. Raccontarsi (e impersonarsi) li ha aiutati molto. Le difficoltà però non sono finite con l’inizio delle riprese.”

Per esempio? “A Venezia e Toronto hanno avuto un assaggio di un mondo molto diverso dal loro: il cinema, i complimenti, l’essere a modo loro famosi… quando sono tornati sono iniziati i problemi. La gente a Gubbio ha iniziato a guardarli in modo diverso, e non in meglio. Alcuni hanno iniziato a rinfacciare piccole cose che fino a poco prima passavano inosservate, solo per il fatto che loro “sono famosi”, “sono attori”; come se la loro vita fosse migliorata in modo così drastico, e fossero davvero degli attori di professione. In particolare Fouad ha risentito del cambiamento, mi ha detto apertamente che la situazione stava davvero peggiorando. Se poi consideriamo il clima generale verso gli immigrati tra 2017 e 2018, proprio quando si è concretizzato il progetto di questo corto, possiamo capire a cosa poteva essere dovuto questo cambiamento”.

“Ora stiamo lavorando all’idea di rendere questo corto-documentario un film, come se quello che abbiamo girato sia stato solo un primo episodio di una storia più lunga. Intanto, sono rimasto in contatto con Fouad e Daniela, e a volte siamo invitati per far vedere il filmato nelle scuole, per interagire con i più giovani. Per raccontare anche ai ragazzi la loro vita.”

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