Si chiama Bianca Porteous una bella ragazza di 25 anni, italiana ma di origine giamaicana e da qualche anno cameriera. Bianca e il suo sorriso bellissimo sono la risposta di…
Si chiama Bianca Porteous una bella ragazza di 25 anni, italiana ma di origine giamaicana e da qualche anno cameriera. Bianca e il suo sorriso bellissimo sono la risposta di carattere e personalità contro pregiudizi scaturiti spesso dal suo nome e dal suo colore di pelle. Il suo nome però pare non essere stato scelto a caso, ecco perché …
Ti va di raccontarmi brevemente la tua storia?
“Si certo, sono stata adottata quando avevo sei mesi da una donna italiana di origini siciliane cioè mia mamma. Ero ancora parecchio piccola ma ricordo che facevo avanti e indietro tra Italia e Giamaica fino a quando non mi sono stabilita definitivamente qui all’età di 4 anni. Successivamente ho vissuto a Roma per qualche anno e a 10 sono andata a vivere in Spagna con mia mamma. In Spagna ho frequentato la scuola imparando lo spagnolo. A 16 anni però sono dovuta tornare in Italia perché mia mamma si era ammalata di un tumore al fegato e purtroppo nel 2010 è venuta a mancare. Dopo la sua morte ho deciso di rimanere a Perugia con mio fratello e sua moglie. Qui ho terminato gli studi diplomandomi al liceo artistico e ho iniziato ad entrare nel mondo del lavoro”.
Ti sei sentita accolta qui in Italia?
“Fino ai 15-16 anni assolutamente si. Poi man mano che crescevo mi trovavo a fare i conti con persone che trovavano assurdo il fatto che mi chiamassi Bianca e fossi nera oppure che fossi italiana visto che essendo stata adottata lo sono a tutti gli effetti. Io però nonostante tutto mi sono sempre sentita una persona uguale a tutte le altre. Penso che il vero problema non sia il razzismo ma l’ignoranza di alcune persone”.
Ti piace l’Italia?
“Si mi piace, in particolare per la cultura e il cibo anche se penso che questo Paese riservi un’infinità di cose da apprezzare che talvolta sembra facciamo di tutto per non farle emergere”.
Cosa ti manca del tuo Paese? Se ti ricordi qualcosa dal momento che l’hai lasciato che eri ancora piccolissima.
“Infatti mi ricordo poco a dire il vero, ma anche se ero molto piccola non mi dimenticherò mai del mare della Jamaica che è bellissimo. Presto ci tornerò. La cosa che mi manca di più è il fatto che io non conosca niente del Paese in cui sono nata”.
Come reagiscono le persone quando ti presenti?
“Come ti dicevo prima fino all’età di 15-16 anni non ho mai avuto problemi con le mie origini e tanto meno con il mio nome. Poi però mi rendevo conto che quando mi presentavo qualcuno vedendomi nera e sentendo che mi chiamavo Bianca aveva reazioni di diversi tipi: qualcuno mi chiedeva se era uno scherzo, qualcuno stupito non mi lasciava la mano e continuava a stringerla, qualcuno mi chiedeva di mostrargli un documento e qualcun altro mi ha chiesto perché … credo che mia madre mi abbia dato questo nome proprio per questo, voleva suscitare una reazione dimostrando che Bianca è un nome come tutti gli altri e il nome è solo un nome ma è la persona che conta davvero”.
Ti va di raccontarmi un aneddoto per te significativo che ti è capitato da quando sei in Italia?
“Sì durante una nota manifestazione, una società di catering cercava cameriere per un servizio catering. Io avevo inviato la candidatura e oltre al mio curriculum avevo allegato una mia foto perché così era richiesto. Durante il colloquio uno degli addetti alle Risorse Umane mi chiede chi fossi e io ho risposto di essere la per il lavoro da cameriera; questa persona mi dice che non comparivo nell’elenco degli aspiranti camerieri che avevano fatto domanda e decide di chiamare un suo collega per avere chiarimenti riguardo alla vicenda. Mentre era al telefono con lui sento che si comincia a lamentare del perché non comparisse il mio nome nella lista e perché avrebbe voluto essere informato riguardo al fatto che io fossi nera. Ho denunciato pubblicamente la vicenda sui social qualche giorno dopo senza fare nome e cognome”.
Forse dovremmo interrogarci sul perché se ti chiami Bianca e sei nera ancora oggi questo crei perplessità. Quello che ci rappresenta non è il colore della pelle o il nome ma la nostra persona e il nostro modo di essere.
(foto in evidenza di Massimo Palmieri)