Commenti disabilitati su Dal Perù agli Stati Uniti… a Perugia alla ricerca delle mie radici!
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Piacere! Mi chiamo Luciana e vi racconto un po’ la mia storia.. Sono nata e cresciuta in Perù, ma ho sempre sentito dentro di me la curiosità e la voglia…
Piacere! Mi chiamo Luciana e vi racconto un po’ la mia storia..
Sono nata e cresciuta in Perù, ma ho sempre sentito dentro di me la curiosità e la voglia di scoprire nuove culture e viaggiare.
Questo mi ha portato a trasferirmi negli Stati Uniti d’America dove ho vissuto per ben 12 anni, acquisendone la cittadinanza. Tuttavia, non ho mai sentito come mia la cultura americana, troppo lontana da quella del mio Paese d’origine, così nel 2019 ho deciso di trasferirmi in Italia.
L’Italia è un Paese che è stato sempre presente nella mia infanzia. Il mio bisnonno era originario di Genova, quindi, crescendo ho sempre sentito storie sulla cultura e la vita in Italia, senza mai però avvicinarmi tanto da poterla vivere. Ho deciso così di imparare l’italiano, e ho iniziato da autodidatta su Dualingo (tanta forza di volontà!) e una volta arrivata in Italia, ho continuato a sforzarmi di parlare la lingua fino a raggiungere un buon livello d’interazione. Nel 2019, senza immaginare che una pandemia aspettava dietro l’angolo per sconvolgere la mia vita, mi sono trasferita a Perugia, dove ho iniziato a lavorare come ricercatrice ad un progetto dell’Università degli Studi di Perugia.
Ho una formazione umanistica, con una passione per la psicologia, e proprio all’Unipg, ho deciso di proseguire i miei studi con una magistrale in questo ambito.
Ad oggi, posso finalmente dire che sono felice e mi sento a casa. Mi reputo fortunata; già dal mio arrivo mi son sentita partecipe e inclusa nella cultura italiana. Ciò mi ha dato la consapevolezza che avevo finalmente trovato il mio posto. A volte ho nostalgia della mia vita precedente, soprattutto gli amici, il lavoro, l’università.. ma se penso al futuro son sicura che è qui dove voglio rimanere!
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Vengo dalla Romania e sono qui in Italia da circa diciott’anni, quando avevo dieci. Il mio arrivo è stato un po’ particolare perché praticamente ho saltato un anno di scuola…
Vengo dalla Romania e sono qui in Italia da circa diciott’anni, quando avevo dieci. Il mio arrivo è stato un po’ particolare perché praticamente ho saltato un anno di scuola elementare: ho iniziato la scuola più tardi e quindi ero più grandicella. Mi hanno spostato un anno in avanti e praticamente ho saltato alla terza elementare. è stata un’esperienza un po’ così…soprattutto quando ho scoperto che il sabato si andava a scuola, che per me era un sacrilegio!
Attualmente vivo a Perugia, dopo aver vissuto in un paesino in provincia di Terni e poi in piccoli comuni. Il mio obiettivo però è di continuare a rimanere a Perugia, perché mi trovo bene. Qui ho fatto anche le superiori e gli studi di laurea in servizio sociale, e ho ottenuto l’abilitazione come assistente sociale.
Com’è stato cambiare dalla Romania, cos’è che ti ha colpito di più?
Diciamo che sono stata abbastanza fortunata, dato che sono venuta quando ero ancora piccola. Comunque sia cambiare paese, con un’altra lingua e u n altro contesto, è sempre e comunque sempre un cambiamento importante: io sono arrivata che non sapevo nemmeno parlare. Sono arrivata ad agosto e poi a settembre è iniziata la scuola. Sapevo dire poche parole, quando alle elementari una mia compagna mi chiese “dove abiti?” io non riuscivo a comprendere la domanda, perché non riuscivo a capire cosa volevo volesse dire la parola “abiti”. Questa è una cosa che mi ricorderò sempre. Fortunatamente poi da piccoli a scuola si impara in fretta.
Poi diciamo che questo spostamento per me è diventato la normalità: una volta venuta in Italia non ho più vissuto con i miei genitori ma con mio fratello, e quindi ci trasferivamo a seconda del suo lavoro: Terni, Tavernelle, la zona del Trasimeno … e alla fine a Perugia
Cosa ti ricordi, se ti ricordi qualcosa, della Romania?
Mi ricordo tante cose. La cucina in particolare, ero abituata a sapori forti. Ogni tanto ne sento la mancanza, anche se tutto adesso è di molto più facile reperibilità nei negozi.
Un’altra cosa che mi piaceva era la magia di alcuni luoghi: lì ci sono proprio dei paesaggi naturali molto belli. E poi nel tempo mi sono resa conto che avevo anche un po’ di nostalgia di alcune tradizioni, che da adolescente avevo messo da parte ma che sta riscoprendo adesso da grande, dopo essermi sposata con mio marito, anche lui della Romania. Quindi insieme abbiamo scoperto delle cose che inevitabilmente ci appartengono: modi di essere, modi di fare, cose che sono comunque intrinseche, che sono dentro di noi
Insomma vi siete portati dentro un po’ di Romania.
Diciamo di sì! Anche se poi era una cosa un po’ strana, a casa parliamo solo italiano perché anche lui ha vissuto sempre qui da quando era piccolo, siamo praticamente seconde generazioni. Eppure mi ha sempre un po’ colpito che ci siano alcune cose che rimangono, come vivere le feste, il Natale, o la Pasqua. Per dire, anche quando ci siamo sposati abbiamo fatto un matrimonio come si farebbe qui, però riprendendo cose tipiche della Romani. Sono quelle cose, magari anche piccole, che però, inevitabilmente, rimangono.
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Ciao Nadia, dicci un po’ di te. Sono nata a Marsciano da una famiglia di immigrati marocchini, ho 27 anni e frequento la facoltà di Economia. Siamo arrivati in Umbria…
Sono nata a Marsciano da una famiglia di immigrati marocchini, ho 27 anni e frequento la facoltà di Economia. Siamo arrivati in Umbria negli anni ’90. Mentre mia mamma era incinta mio papà era già in Europa, tra Francia e Svizzera. Mia mamma mi raccontava sempre che appena arrivata parlava solo francese, quindi quando andava dal fornaio non la capivano, tornava a casa e piangeva, poverina, perché non riusciva ad esprimersi. In più i primi marocchini venuti in Italia erano tutti maschi, quindi non poteva frequentare nessuno.
La cosa è migliorata quando ha frequentato il corso per prendere la patente e il corso di italiano. Alla fine è stato un grande esempio di integrazione, dal Comune spesso l’hanno chiamata proprio per prenderla ad esempio di come l’integrazione sia una cosa possibile.
Come è stato vivere come una seconda generazione in un piccolo paese umbro?
Gli anziani del paese ci hanno sempre accolto in casa, addirittura hanno aiutato mio padre quando era in difficoltà con il lavoro. Quando i miei genitori sono arrivati qui la situazione era sì difficile ma la mentalità era più aperta. Non per cadere in una generalizzazione, ma secondo me gli immigrati più recenti di seconda generazione si trovano in un conflitto vero e proprio tra l’identità dei loro genitori e quella italiana. Io questo conflitto di identità l’ho subito più che altro alle superiori, quando c’erano più stranieri, e quindi mi sono dovuta confrontare con idee diverse dalle mie.
Ho avuto anche alcune difficoltà con la religione musulmana, perché io mi sento molto più libera. Quindi il conflitto è stato, più che sull’essere italiano o marocchino, sulla identità religiosa, diciamo culturale.
L’esempio che ti ha dato tua mamma ti ha reso la strada più semplice o è stato il contrario?
Ripensandoci adesso è stata più spianata rispetto a quella di tanti altri ragazzi nella mia situazione, anche di persone che conosco.
Da quando ero piccola, avevo 17 anni, frequento i servizi giovani e ho fatto sempre parte del mondo dell’associazionismo. Un progetto che porto sempre nel cuore è stato lo Young Angles. Il mantra di questo progetto era di collegare tutti gli angoli dell’Umbria,, e i giovani umbri, come in un cubo. Grazie a questo progetto ho fatto una formazione di psicologia e sui social, e da lì mi sono interessata al mondo dell’ascolto diretto e del social media management.
Un ricordo che mi porterò di questo progetto era il mettersi in gioco. Ci hanno sempre forzato a parlare in pubblico, ad esprimere le nostre idee, di fare cose creative.
Ho partecipato anche ad altri progetti che mi hanno fatto conoscere altre persone e fatto uscire un po’ dal mio guscio, essendo stata sempre ragazza timida, ed è uscita un po’ la mia vera personalità
Oggi siamo in trasferta! Eravamo a Terni e siamo stati invitati da Amira a casa sua per fare una chiacchierata.
Ho 22 anni e vivo a Terni da 11 anni. Insomma ho vissuto parte della mia infanzia e tutta l’adolescenza qui. Mia mamma era già da tempo qui in Italia quando ha deciso di portarmi qui. Prima non era possibile perchè ero ancora troppo piccola, e lei avrebbe dovuto badare a me da sola.
Del mio arrivo qui mi ricordo solamente una cosa: la pulizia. Le strade pulite, il fiume chiaro dentro la città. Era diverso da qualsiasi cosa avessi visto in Costa d’Avorio.
Come è stato per tua mamma essere una mamma single in un diverso Paese?
In realtà non ne parla spesso, sicuramente all’inizio è stato complicato, soprattutto per via della lingua, ma aver già vissuto in Italia e aver capito come funzionavano le cose qui sicuramente ha aiutato molto. Quello che so però è che mia mamma ha vissuto per qualche mese in Francia, però poi ha deciso di tornare in Italia. Non se ne è mai pentita: ha deciso di rimanere a Terni perché la città le piace e ci vive bene.
E anche a me piace: prima che fossi costretta a smettere per via del Covid ho lavorato per qualche mese a Roma come barista. E anche allora, ho deciso da fare la pendolare e rimanere a vivere qui a Terni. Qui ci troviamo bene.
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In questi giorni di quarantena mi sono trovata a riflettere sulla situazione che ognuno di noi sta vivendo. Ho deciso di mettere per iscritto i miei pensieri e le mie…
In questi giorni di
quarantena mi sono trovata a riflettere sulla situazione che ognuno di noi sta
vivendo. Ho deciso di mettere per iscritto i miei pensieri e le mie riflessioni
riguardo a questo momento di difficoltà, che io personalmente sto affrontando
con emozioni contrastanti. A volte, non potendomi rassegnare all’idea che tutto
sia iniziato per caso, mossa da un potente bisogno di capire il perché di tutto
questo, vado compulsivamente alla ricerca di spiegazioni; forse perché per me
sarebbe più facile accettare quello che sta accadendo. Ma ragioni non ce ne
sono, o quanto meno non è facile individuarle. Altre volte invece, sentendomi
impotente, mi rifugio nel mio “nuovo mondo” fatto di piccole e semplici cose,
ma comunque molto gratificanti, che spesso si danno per scontate. Qui nel mio
mondo, prevale la rassegnazione, mi siedo e aspetto che la corrente mi trascini
a riva. Forse è questo lo spirito giusto per vivere più serenamente questo
periodo? Ancora devo capirlo. Una delle emozioni che in questi giorni non è
venuta a bussare alla mia porta è la rabbia. Quella proprio no. Perché avere
bisogno di odiare?
Purtroppo, ancora una volta, ci siamo ritrovati a riversare la nostra rabbia contro chiunque ci apparisse “responsabile” o “potenziale responsabile” della diffusione del virus. Vi ricordate qualche mese fa quando ancora l’Italia sembrava essere immune al Coronavirus come ci siamo accaniti contro la popolazione cinese residente nel nostro Paese? È toccato per prima ai cinesi, perché ritenuti gli untori di quella che di lì a poco sarebbe stata definita una pandemia. Abbiamo di colpo smesso di consumare cibo nei loro esercizi, ad emarginarli, fino ad arrivare alla violenza verbale e fisica. Ironia della sorte, ora che siamo incappati anche noi, insieme a tanti altri Paesi, nel tunnel del Coronavirus, i cinesi ci vengono in soccorso. Non ho bisogno di aggiungere altro. Ma le manifestazioni di rabbia e risentimento per questa situazione a dir poco frustrante e angosciante non hanno colpito solo la popolazione cinese, bensì qualsiasi individuo che venisse reputato, in maniera azzardata vorrei aggiungere, come civicamente e umanamente irresponsabile. Sarà capitato quasi ad ognuno di noi di essere stato vittima, di aver assistito o di aver sentito parlare di episodi di aggressione verbale da parte di soggetti profondamente indignati di fronte ai comportamenti non conformi alle disposizioni emanate dal decreto di alcuni cittadini. La rabbia è sfociata nella violenza verbale a scapito di tutte quelle persone considerate untori per aver portato il bambino al parco, perché amanti della corsa e dell’attività all’aria aperta, più comunemente definiti runners, o perché avvistati per strada, senza avere la minima idea del perché quella persona si trovava fuori casa in quel momento.
È accaduto pure a me. Qualche settimana fa mentre stavo ritornando a casa sono stata aggredita verbalmente da una donna che si trovava davanti al suo portone, impegnata a controllare chi infrangesse le regole. Premetto che non ho risposto alle provocazioni di questa persona che mi ha dato dell’“ignorante” e della “pezzo di merda” per avermi vista per strada. Oltre agli insulti, mi ha accusato di essere una delle responsabili di questa situazione. Il tutto è stato urlato a squarciagola dall’altra parte della strada. Con questo non voglio di certo dire che chiunque sia autorizzato a mettere da parte il proprio senso di responsabilità ed infrangere le regole, tutt’altro. Ma credo che questa violenza non porti nulla, non dobbiamo per forza cercare un colpevole da condannare. Spero che usciti da questo periodo difficile saremo diventati tutti più umani. Non perbenisti, ma umani.
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Tra contratti di lavoro sfumati, colloqui via Skype, un ragazzo di origine albanese, ospitato da una famiglia di Narni, ci racconta lo scorrere lento delle sue giornate. Il 29 gennaio…
Tra contratti di lavoro sfumati, colloqui via Skype, un ragazzo di origine albanese, ospitato da una famiglia di Narni, ci racconta lo scorrere lento delle sue giornate.
Il 29 gennaio 2020 ho terminato il mio ciclo di studio e ho acquisito un attestato del CFP in Aiuto cuoco. Da quel momento ho iniziato a portare fisicamente curriculum vitae in ogni dove e mi sono anche iscritto a tante piattaforme per la ricerca di lavoro.
Dopo circa un mese la mia ricerca sembrava coronata da
successo: la società di ristorazione turistica Cafè Teatro mi aveva fissato un appuntamento
di lavoro per il 14 marzo a Roma e poi ero stato contattato da un bar/tavola
calda di Narni per iniziare il mio periodo di prova giovedì 5 marzo 2020 alle
ore 11:00.
Poi è
arrivato il “Coronavirus”…
Giovedì 5 marzo, mi sono alzato di buon’ ora, mi sono
preparato, ho preso la mia divisa lavata e stirata di fresco, ero in procinto
di vestirmi quando mi hanno chiamato al telefono e mi hanno detto di non andare
perché il pomeriggio precedente erano state chiuse le scuole e quindi già si
vedeva che il mio lavoro per il momento non sarebbe stato necessario, ma che a
situazione mutata mi avrebbero richiamato.
Archivio
il mio possibile lavoro al bar e aspetto l’appuntamento del 14 marzo a Roma.
La mattina del 9 marzo messaggio WhatsApp dal Cafè Teatro
che mi dice che a causa del decreto del 9 marzo del Presidente del Consiglio
dei Ministri non era possibile effettuare il colloquio in persona ma via Skype
per il pomeriggio seguente.
Colloquio effettuato, seguito da messaggio il 13 marzo in
cui mi si dice che è stato positivo e che ci aggiorneremo via WhatsApp.
Ed ora sono qui chiuso in casa che aspetto, anzi siamo qui
chiusi in casa, io e la mia molto allargata famiglia.
Tutti noi cerchiamo di far passare il tempo impegnandoci su
più fronti.
Di seguito le mie azioni al fronte…
Lunedì 16 marzo
La casa in cui io vivo
ha anche un po’ di terreno in cui ci sono viti ed ulivi ed io dopo essermi
svegliato di buon’ora ho aiutato a raccogliere e portare al magazzino, dove
sarebbero state bruciate, i resti della potatura delle viti effettuata da Tahir
il giorno precedente. Questo era un lavoro assolutamente nuovo per me ma non mi
è costata alcuna fatica, anzi è stato un
buon diversivo.
Poi sono tornato ad un lavoro a me più congeniale
e quindi ho apparecchiato la tavola per il
pranzo e per la cena.
Martedì 17 marzo
Martedì è stato un
giorno più normale, mi sono svegliato,
ho parlato al telefono con la mia famiglia a Tirana, ho aiutato in casa con le faccende domestiche, preparando la
tavola per il pranzo e per la cena e nel pomeriggio ho guardato una serie tv su
Netflix , “Peaky Blinders”.
Serie avvincente
ambientata all’inizio del XX secolo in Inghilterra, precisamente al termine
della seconda guerra mondiale.
Mercoledì 18 marzo
Dopo aver fatto
colazione ho letto un po’ di annunci di lavoro con il telefonino, ho aiutato in casa e cosa inedita per me ho portato fuori il
cane, Stella, vincendo la mia ritrosia per questi animali.
Nel pomeriggio ho messo in pratica i miei studi e ho preparato
la cena: frittura di pollo e patate. Apparecchiato tavola, cenato, serie tv e a
letto.
Giovedì 19 marzo
Svegliato, attualmente
sempre abbastanza presto, dopo aver fatto la colazione sono stato in camera a
parlare con la mia famiglia.
Ho come sempre
preparato la tavola per il pranzo e dopo mi sono inventato aiuto compiti di
inglese, traduzione, testo e relative domande, per Bradi, il ragazzo quasi mio
coetaneo che vive qui e che frequenta il terzo Liceo Scienze Umane.
Prima del Coronavirus
Venerdì 20 marzo
Nella mattinata di oggi
mi sono dedicato alla lettura di annunci sul PC, ho pranzato e dopo pranzo sono stato
destinato ad un nuovo fronte: sorveglianza in giardino di tre bambini: Erius 10
anni, Mariela 9 anni. XhorXhina (Giorgina) 6 anni. Esperienza sicuramente più
devastante della raccolta potatura.
In serata per la cena
sono tornato aiuto cuoco con Paola..
Sabato 21 marzo
Mi sono svegliato
presto per andare con Paola alle ore 08:00 a Narni Scalo.
Visti i divieti ci
siamo muniti di modelli di autocertificazione, che cambiano tutti i giorni, e
mentre lei faceva spesa io ho a preso l’acqua alla fontana/erogatore.
Tornati a casa abbiamo
fatto colazione con i diversi componenti della famiglia poi nella prima
mattinata messo in ordine la mia stanza.
Nel pomeriggio, con
Bradi abbiamo guardato un film.
Domenica 22 marzo
Domenica molto
rilassata: dopo aver fatto colazione ho finito di sistemare la mia stanza e nel
pomeriggio ho aiutato Bradi a finire i compiti da spedire alle sue insegnanti,
poi con Paola ho preparato la cena.
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“Ti sei mai visto? Non sei italiano, anche se sei nato qui”. “Non piacerai mai a nessuno, per il colore della tua pelle!”Potrei fare una serie di elenchi per descrivere…
“Ti sei mai visto? Non sei italiano, anche se sei nato qui”. “Non piacerai mai a nessuno, per il colore della tua pelle!” Potrei fare una serie di elenchi per descrivere il modo in cui molte persone offendono il prossimo. Il razzismo, che grande guerra è.
Io sono angolana, africana e nera. Fiera delle mie origini. Ma spesso porto addosso il peso di essere nata là, in quella patria e nazione (che meraviglia la mia Angola!), dove esiste il miscuglio di “razze” – se così posso dire-, anche se il termine non mi piace, io che ho la famiglia mista, fatta di bianchi portoghesi, mulatti angolani e neri angolani.
Non giudicarmi anche se credi che guardando la tv hai capito tutto di me, ci sono confini e luoghi invalicabili nell’essere persone, ci sono un mare immenso di dolore nei muri inflitti da sorrisi, ci sono troppi segreti forse in questa persona che sono. Segreti che preferisco nessuno conosca. La sofferenza di una terra a cui appartengo e che non mi riconosce come cittadina, segreti in una famiglia in cui sono nata; solo perché i miei genitori non sono della stessa città, è Maka= è problema… essere il miscuglio tra nord e sud, nella mia famiglia, soprattutto quella paterna, diventa questione di astio. Vogliamo parlare di razzismo quando siamo in terre estranee, ma di quello che succede già da lì, da dove partiamo non è razzismo? Non odiarmi fratello, sono come te. In questo colore esistono le vene, e scorre lo stesso sangue. Perciò amati amandomi. Cosa c’è di sbagliato nel voler essere il mondo? Siamo nati liberi, perché per il colore della mia pelle devo sentirmi più limitata?
Meno libera nel poter realizzare i miei sogni come nel poter vivere il mio giorno per giorno. Voglio un mondo senza pregiudizi, senza limitazioni, senza chiusura, senza nessun tipo di barriera e offese gratuite. Perché siamo una sola razza: la razza umana. Il razzismo non è definito tale solo perché viene fatto da un popolo bianco verso le persone di un altro colore di pelle, in questo caso pelle nera, ma è razzismo già il modo in cui chiamiamo l’altro; ad esempio, invece di chiamarmi per nome, mi identifichi come quella razza di colore.
Anche questo è razzismo. È così che il razzismo non ha confini e si estende anche tra persone dello stesso colore di pelle, tra neri e neri e tra bianchi e bianchi. Dobbiamo saperci adattare alla realtà, il mondo è vasto e siamo tutti diversi. Ma apparteniamo a un unico globo. Il mondo .
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Blogniù nasce per parlare di diversità culturale. Purtroppo legato a questa tematica c’è spesso l’argomento razzismo, tanto che ci troviamo spesso a trattarne, scrivendo articoli in cui parliamo della bellezza…
Blogniù nasce per parlare di diversità culturale. Purtroppo legato a
questa tematica c’è spesso l’argomento razzismo, tanto che ci troviamo spesso a
trattarne, scrivendo articoli in cui parliamo della bellezza della
multiculturalità e, conseguentemente, quanto ci si perda a non volerla vedere discriminando
il diverso.
Ciò significa che se non esistesse chi discrimina noi non avremmo bisogno
di scrivere buona parte dei nostri articoli. Oggi, in occasione della settimana
contro il razzismo, mi sono chiesta perché privarmi di così tanto materiale
di scrittura. D’altronde se non ci fosse il bisogno di informare la gente sull’importanza
dell’integrazione, sull’apprezzare la diversità e sul ‘non hai motivo di essere
razzista perché’ per chi scriverei?
Perciò con questo articolo ho deciso di autoalimentare il mio mercato e
darvi due motivi per essere razzisti e, se lo siete già, per continuare a farlo
senza fastidi.
Il razzismo culturale (o neo razzismo)
Nel 2020 si è universalmente
considerati degli ignoranti se si dice “ce l’ho con lui perché è musulmano” o
“ce l’ho con lui perché è terrone”. Come si può continuare a discriminare una
categoria diversa indisturbati? Beh, ad una società più colta va un razzismo
più colto: non si dirà più “non mi piacciono i musulmani” ma “non mi piace il
modo in cui i musulmani (tutti) trattano la donna” o “non mi piace che i
musulmani facciano il ramadan” o ancora “non è che non mi piacciono i terroni,
è che sono tutti pigri”.
Insomma, motivare le proprie
discriminazioni abbozzando delle argomentazioni riferite alla cultura del
discriminato è una delle maniere più popolari per non essere tacciato di xenofobia
e, a volte, passare persino per quello intelligente che non ha paura di dire
cose scomode.
Attenzione però: con i dati alla
mano o un po’ di spirito analitico c’è il rischio che il vostro interlocutore
possa controbattere. In tal caso dite “non è questo che intendevo” poi continuate
a ripetere ciò che stavate dicendo prima di essere interrotti. Questo dovrebbe
permettervi di non fare brutta figura, tuttavia meglio prevenire il problema
mantenendo le vostre argomentazioni in superficie: per scendere in un dibattito
sul perché sia giusto criticare qualcuno che digiuna di sua spontanea volontà
senza dare fastidio a nessuno ce ne vogliono di argomentazioni a favore.
Dagli all’untore
Ho intitolato questo paragrafo con
la frase che i popolani ne I Promessi Sposi gridano a un ingenuo Renzo,
convinti che stesse volontariamente diffondendo la peste per la città:
ovviamente il protagonista era innocente e il popolo, preso dal panico, aveva
bisogno di dare un volto al perché delle proprie disgrazie.
Nel corso di un anno ci accadono
molte cose negative. Alzi la mano chi non è stato assunto al lavoro, chi si
vede raddoppiare le proprie bollette di anno in anno o chi pensa di pagare
troppe tasse rispetto a quello che guadagna.
Trovare causa e soluzione a questi
problemi è un processo che richiede molta analisi e riflessione e sono processi
che non sempre dipendono da voi. Potremmo aggiornare il nostro CV, potremmo insistere
per far riparare definitivamente il rubinetto della cucina che perde acqua o
potremmo metterci a ragionare sul perché le tasse siano così alte e magari
studiare un modo per richiedere una soluzione.
Ma stare a riflettere su tutte
queste cose richiede tempo: c’è una casa da gestire, i bambini da prendere a
scuola per portarli a calcetto, lo studio per gli esami e una vita sociale da
mantenere. In più trovare canali di informazione attendibili richiede tempo.
E allora con chi ce la prendiamo?
Contro quale muro sbattiamo la testa?
Per fortuna esiste sempre qualche
minoranza con meno mezzi per tutelarsi. Non li conosciamo bene, è più facili
incolparli senza che possano replicare.
Quando queste minoranze, questi
stranieri, sono fuori dal mercato del lavoro possiamo considerarli pesi da
mantenere, quando vi accedono hanno rubato la professione a qualcun altro. Semplice,
no?
Ci permette di sfogare il nostro
stress senza temere ripercussioni, tanto i diversi sono meno (e meno integrati
nella società) di noi. In più possiamo non intralciare le nostre numerose
attività quotidiane perdendoci dietro a mille ragionamenti sui perché dei
nostri problemi o sui canali di informazione (prima per trovarli poi per capire
che dicono) a cercare di capirci qualcosa in più.
A maggior ragione quando la soluzione
sembra dipendere così poco da noi.
Il giorno in cui sei arrivato nel mio cammino, non ero preparata; nessuno prepara qualcuno per una tale situazione e, nemmeno per questa negazione, così mi sono fatta trasportare dalla…
Il giorno in cui sei arrivato nel mio cammino, non ero preparata; nessuno prepara qualcuno per una tale situazione e, nemmeno per questa negazione, così mi sono fatta trasportare dalla voce dannata: Abortire.
Tu innocente creatura, venuta verso me ad un passo dal raggiungimento di un sogno: il matrimonio, poiché a 30 anni io pensavo “ sono cresciuta abbastanza, mi sono laureata, vorrei sposarmi e formare una famiglia”.
Io una donna sola, e senza un lavoro, che vive all’estero senza l’appoggio economico di nessuno, non potevo farcela: dopo la laurea, per me, il prossimo passo doveva essere sposarmi per poi averti; ho sempre avuto una logica vitale, un piano di vita tutto mio: STUDIARE, SPOSARMI E AVERE FIGLI.
Da sola, senza il supporto della mia famiglia come potevo tenerti? In questo paese dove mi sento straniera e sono estranea per gli altri, no, non è stato possibile, fosti una brutta sorpresa perché sei arrivato quando non avevo nemmeno un lavoro, in modo burrascoso, in questo scenario che è la vita.
Quando ho optato per l’aborto, sapevo che ti stavo distruggendo dentro me, ma ho giurato a me stessa che l’amore mio eri solo tu, la perdita di quel sogno tanto auspicato se n’è andato con te. Che vita potevo mai offrirti? Quindi disfarmi di te fu l’unica opzione.
Con te in grembo ho pensato: ”deludo lui. Il mio eroe, deludo i miei ed i suoi sogni”. Non potevo deluderlo, anche se mi trovavo dall’altra parte del globo, sapevo che non potevo, poiché la gente lo avrebbe ucciso con i giudizi. Non ero ufficialmente legata a tuo padre, e lui, a quanto pare il bastardo negò di volerti e rifiutò anche me.
Mi fa male, oggi più che mai. Veder un desiderio infranto proprio nel momento giusto, anche se solo per l’età. Sono stata delusa, io sempre determinata e forse fin troppo dentro le regole; io che non sgarro mai, invece con te ho commesso un delitto. Ingiusto e doloroso fu per me negarti la vita, un futuro ed un’esistenza, ma ero fragile e legata ad un amore malato, vuoto e sterile. “capiscimi!”.
Ti ho tanto amato prima di averti nel grembo ma, anche odiato per l’incidente di percorso. Perché sei arrivato senza progetti. Fragilmente, non ti ho saputo amare. Oggi vorrei farmi perdonare e amare una vita più di te, accudire qualcuno come avrei voluto farlo con te…
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