Sin da piccola vivo in bilico “tra due mondi” culturali completamente diversi: quello delle mie origini in cui c’è la mia famiglia, le tradizioni e i valori islamici che mi sono stati insegnati dalla nascita; e quello italiano, in cui sono nata e cresciuta, in cui ci sono i miei amici e la cultura del Paese che ha accolto i miei genitori.

Interfacciarmi tra questi due mondi, soprattutto nel periodo adolescenziale, mi ha portata a vivere una grande crisi d’identità in cui ho iniziato a chiedermi: “chi sono io?”.

Per anni mi sono chiesta se sarebbe stato più facile nascere e crescere in Marocco oppure nascere in Italia da genitori italiani, mi sono chiesta cosa fosse giusto o sbagliato: ciò che era “normale” per una cultura era strano o non accettabile per l’altra, e viceversa; ho iniziato a mettere in discussione tutta la mia vita, partendo da me.

Per le persone sono straniera solo per il mio nome, per i miei tratti somatici e per il velo che porto. Camminare tra gli sguardi diffidenti e giudicanti delle persone, con il tempo, ha sviluppato in me la costante paura di non essere accettata e di conseguenza mi ha fatta sentire sbagliata e fuori luogo.

Come posso sentirmi un’estranea a casa mia, nel Paese che mi ha vista nascere e crescere?

Nonostante le mille domande e i mille dubbi che mi hanno assalita nel corso degli anni, sono riuscita a trovare la mia strada senza rinunciare a nessuno dei miei due mondi, senza aver più paura degli sguardi delle persone.
Ho capito che, noi figli di seconda generazione siamo il bellissimo risultato di un mix di culture, diverse ed ognuna unica a modo suo e non dobbiamo necessariamente schierarci da una parte per essere accettati.

Non siamo noi ad essere sbagliati.
È sbagliato chi non comprende, è sbagliato di giudica, è sbagliato chi non apprezza la nostra unicità.