Per il suo quarto appuntamento #humansofumbria cambia formato e vi porta un’intervista piena di spunti interessanti: la testimonianza di Ilam, studentessa di medicina e volontaria dell’ANT, sull’integrazione e su come insegnarla ai bambini
Sono in Italia da 19 anni ma sono nata in Marocco, sono cittadina marocchina. Sono arrivata qua quando avevo 8 mesi, ho fatto tutte le scuole in Italia. Sono perugina e parlo perugino.
Riguardo l’accoglienza degli stranieri la situazione è cambiata molto, da come era l’Italia a come è diventata. Penso che quando ero piccola gli stranieri erano molto graditi. Ora forse un po’ meno. Questo influenza la nostra vita quotidiana, e influenza anche molto il rapportarsi con gli altri. Secondo me influisce molto la politica, un po’ anche l’attualità, ma soprattutto la propaganda: come i discorsi, gli argomenti vengono trattati, soprattutto in televisione e nei giornali. Non bisogna solo vedere magari un telegiornale e dire che “hanno ragione”, uno deve ragionare con la propria testa. Perché quello che fa la propaganda è proprio questo, portare le persone a capire certe cose che sono sbagliate, fino a pensare che tutti gli stranieri sono “fatti male”. Si dovrebbe ragionare con il proprio cervello, usare la logica e farsi due conti in testa, serve il pensiero critico insomma. “Toccherà movece!”.
Per quanto riguarda Perugia dal punto di vista dell’integrazione è messa abbastanza bene. Però fuori dalla città, nei piccoli paesini siamo ancora un passo indietro. Lì troviamo più vecchi che giovani, che influenzano anche la mentalità di quei pochi giovani che vivono nel paesino, come quello in cui vivo io. Vedo la situazione e sinceramente non mi piace. Prima di mettere il velo mi trattavano in un modo, una volta che l’ho messo… in un modo completamente diverso. Questo non dipende dal fatto che abitiamo in Umbria, ma dal fatto che viviamo in un piccolo paesino, dove non c’è integrazione. La gente non esce, non vede altri posti, non si informa. E quindi rimangono bloccati, racchiusi in quel paesino. Sono nati così e non hanno l’idea di cambiare.
Le scuole potrebbero essere importanti per cambiare questa situazione. È un ottimo punto di partenza. Non dico nelle scuole delle città principali. Ma quelle piccole scuole materne, medie, che sono nei paesi più piccoli. Secondo me ci dovrebbe essere una materia di “integrazione” fatta proprio apposta. Anche mescolare i ragazzi può essere utile: io ho fatto le scuole e comunque sinceramente non ho mai vissuto situazioni di razzismo fortunatamente, forse perché sono aperta. Però osservo molto, e vedo che le altre persone straniere tendono a fare i gruppetti: gli italiani da soli, gli stranieri da soli. Questo dipende anche dai professori, dalle maestre. Bisogna comunque insegnare al bambino, fin da piccolo, ad integrarsi con lo straniero. Non insegnare a fare gruppi, perché così non è una buona educazione.
Il banchetto? Questo è il mio “lavoro” quando ho tempo libero. È per un’associazione, ANT (Associazione Italiana Tumori), diamo assistenza domiciliare gratuita ai malati oncologici. Facciamo anche prevenzione, con visite preventive sempre gratuite. Diciamo che è un hobby, una cosa che mi piace, una passione più che un lavoro, e spero di continuare la mia strada. Sono fiera di quello che sono. Non vorrei cambiare la mia vita.