In quanto figlia di seconda generazione, mi sembra doveroso trattare questa tematica in prima persona, considerando che diverse volte, soprattutto in questi ultimi 2 anni, mi è capitato di (per via della continua esposizione a contenuti sui social che trattano tali argomenti, e le opportunità di confronto che ho avuto modo di avere con altri giovani dall’egual casistica) fermarmi un attimo e interrogarmi su come volessi definirmi, qualora avessero chiesto la mia provenienza.
‘da dove vieni’ ‘di dove sei’ ‘parli molto bene l’italiano’… queste sono solo alcune delle tante frasi e domande alla quale noi ‘figli dell’immigrazione’ siamo costretti a sentirci dire da persone sconosciute che non appena notano un tratto somatico diverso dal loro, invece di chiedere ‘come ti chiami’ o ‘quanti anni hai’, o ancora ‘cosa ti piace fare nella vita’, si permettono di chiedere senza (il più delle volte) un minimo di tatto, da dove vieni.
Potrebbero ora sorgere polemiche dove alcuni obietteranno dicendo ‘ma io non faccio questa domanda per cattiveria, è solo curiosità’, certo, è comprensibile. Ma la domanda che a questo punto mi sorge spontanea è: ‘se tu incontrassi ora una persona esteticamente tale e quale a te, le chiederesti immediatamente da dove venga?’.
Si dà dunque per scontato che tutte le persone bianche e caucasiche, siano italiane. Nel momento in cui si vede qualcuno che non rispetta questo canone, non puoi allora essere considerato di tali origini.
E questo porta a ciò che io definirei come un ‘dualismo socio-culturale’ alla quale i giovani di seconda o terza generazione sono costretti a vivere, dal momento in cui mettono piede nel mondo esterno. E sorgono domande e dubbi ‘mi sento più nigeriana o italiana o viceversa?’ ‘sono solo nigeriana perché ho la pelle nera, e i neri non possono essere italiani?’ ‘ma non sono mai stata in Nigeria, come posso definirmi anche di quelle origini? A quale comunità mi sento più appartenente o legata?’ ‘e poi, devo per forza definirle le mie origini? Perché non posso essere semplicemente considerata cittadina del mondo?’.
Queste domande, tendono a sorgere (almeno nella mia esperienza personale) ad una età più o meno adulta, intanto però quando si è ancora adolescenti, la situazione è ben diversa, perché non ci si pensa più di tanto a dare peso a ciò. Si tiene comunque conto di essere diversi o di avere qualcosa di diverso dai propri coetanei, ma si cerca di camuffarlo il più possibile cercando di entrare a far parte della comunità del luogo in cui si è nati, di adottare certi atteggiamenti, modi di fare e parlare, a costo di andare anche contro qualche regola restrittiva imposta dalle proprie tradizioni o dai propri genitori.
Si vuole far vedere di essere ben integrati in quella comunità ‘’ospitante’’, al fine di non essere più considerati come ospiti ma come cittadini uguali a loro. Però quando si ritorna a casa, ci si rende conto di dover rimuovere quella maschera sociale che abbiamo esibito nel mondo esterno, e di doverne indossare un’altra che possa essere considerata idonea a ciò che le nostre origini ci richiedono e si aspettano da noi. Ma non sempre ci si riesce, e così ecco che arrivano i commenti tipici dei genitori, o altri parenti ‘ti comporti come gli italiani’, ‘non sei abbastanza nigeriana (o qualunque altra nazionalità)’, e questo non fa altro che confondere ulteriormente, nel corso della crescita, i figli con doppia cultura, che si ritrovano così a vivere un conflitto interiore su cosa si sentano veramente.
Fortunatamente nel corso di questi ultimi anni, sono stati introdotti dei termini che potrei definire ‘ombrello’, che racchiudono tramite una parola composta, la doppia nazionalità di noi figli di seconda generazione, come per esempio ‘’italo-nigeriano/italo-rumeno…’’ o in maniera più generale ‘’Afro-italiano/Afro-europeo/Afro-americano..’’ e questo sembra in qualche modo rendere più facile rispondere alla domanda ‘che origini hai’. Ritengo, tuttavia, che forse potremmo tutti e tutte, iniziare ad essere un po’ meno categorici nel definirci, e iniziare ad assumere una visione di appartenenza, più aperta, cosmopolita, mondiale.
Perché in fin dei conti, è proprio questo, il mondo, la nostra casa comune ed esso ci accoglie indipendentemente dalla nostra duplice cultura e cittadinanza.