Categoria: Blog

Una seconda generazione tra difficoltà e impegno nel sociale

Ciao Nadia, dicci un po’ di te. Sono nata a Marsciano da una famiglia di immigrati marocchini, ho 27 anni e frequento la facoltà di Economia. Siamo arrivati in Umbria…

Ciao Nadia, dicci un po’ di te.

Sono nata a Marsciano da una famiglia di immigrati marocchini, ho 27 anni e frequento la facoltà di Economia. Siamo arrivati in Umbria negli anni ’90. Mentre mia mamma era incinta mio papà era già in Europa, tra Francia e Svizzera. Mia mamma mi raccontava sempre che appena arrivata parlava solo francese, quindi quando andava dal fornaio non la capivano, tornava a casa e piangeva, poverina, perché non riusciva ad esprimersi. In più i primi marocchini venuti in Italia erano tutti maschi, quindi non poteva frequentare nessuno.

La cosa è migliorata quando ha frequentato il corso per prendere la patente e il corso di italiano. Alla fine è stato un grande esempio di integrazione, dal Comune spesso l’hanno chiamata proprio per prenderla ad esempio di come l’integrazione sia una cosa possibile.

Come è stato vivere come una seconda generazione in un piccolo paese umbro?

Gli anziani del paese ci hanno sempre accolto in casa, addirittura hanno aiutato mio padre quando era in difficoltà con il lavoro. Quando i miei genitori sono arrivati qui la situazione era sì difficile ma la mentalità era più aperta. Non per cadere in una generalizzazione, ma secondo me gli immigrati più recenti di seconda generazione si trovano in un conflitto vero e proprio tra l’identità dei loro genitori e quella italiana. Io questo conflitto di identità l’ho subito più che altro alle superiori, quando c’erano più stranieri, e quindi mi sono dovuta confrontare con idee diverse dalle mie.

Ho avuto anche alcune difficoltà con la religione musulmana, perché io mi sento molto più libera. Quindi il conflitto è stato, più che sull’essere italiano o marocchino, sulla identità religiosa, diciamo culturale.

L’esempio che ti ha dato tua mamma ti ha reso la strada più semplice o è stato il contrario?

Ripensandoci adesso è stata più spianata rispetto a quella di tanti altri ragazzi nella mia situazione, anche di persone che conosco.

Da quando ero piccola, avevo 17 anni, frequento i servizi giovani e ho fatto sempre parte del mondo dell’associazionismo. Un progetto che porto sempre nel cuore è stato lo Young Angles. Il mantra di questo progetto era di collegare tutti gli angoli dell’Umbria,, e i giovani umbri, come in un cubo. Grazie a questo progetto ho fatto una formazione di psicologia e sui social, e da lì mi sono interessata al mondo dell’ascolto diretto e del social media management.

Un ricordo che mi porterò di questo progetto era il mettersi in gioco. Ci hanno sempre forzato a parlare in pubblico, ad esprimere le nostre idee, di fare cose creative.

Ho partecipato anche ad altri progetti che mi hanno fatto conoscere altre persone e fatto uscire un po’ dal mio guscio, essendo stata sempre ragazza timida, ed è uscita un po’ la mia vera personalità

Commenti disabilitati su Una seconda generazione tra difficoltà e impegno nel sociale

Una mamma e una figlia, alla conquista di Terni

Oggi siamo in trasferta! Eravamo a Terni e siamo stati invitati da Amira a casa sua per fare una chiacchierata. Ho 22 anni e vivo a Terni da 11 anni….

Oggi siamo in trasferta! Eravamo a Terni e siamo stati invitati da Amira a casa sua per fare una chiacchierata.

Ho 22 anni e vivo a Terni da 11 anni. Insomma ho vissuto parte della mia infanzia e tutta l’adolescenza qui. Mia mamma era già da tempo qui in Italia quando ha deciso di portarmi qui. Prima non era possibile perchè ero ancora troppo piccola, e lei avrebbe dovuto badare a me da sola.

Del mio arrivo qui mi ricordo solamente una cosa: la pulizia. Le strade pulite, il fiume chiaro dentro la città. Era diverso da qualsiasi cosa avessi visto in Costa d’Avorio.

Come è stato per tua mamma essere una mamma single in un diverso Paese?

In realtà non ne parla spesso, sicuramente all’inizio è stato complicato, soprattutto per via della lingua, ma aver già vissuto in Italia e aver capito come funzionavano le cose qui sicuramente ha aiutato molto. Quello che so però è che mia mamma ha vissuto per qualche mese in Francia, però poi ha deciso di tornare in Italia. Non se ne è mai pentita: ha deciso di rimanere a Terni perché la città le piace e ci vive bene.

E anche a me piace: prima che fossi costretta a smettere per via del Covid ho lavorato per qualche mese a Roma come barista. E anche allora, ho deciso da fare la pendolare e rimanere a vivere qui a Terni. Qui ci troviamo bene.

Commenti disabilitati su Una mamma e una figlia, alla conquista di Terni

L’umanità ha bisogno di umanità

In questi giorni di quarantena mi sono trovata a riflettere sulla situazione che ognuno di noi sta vivendo. Ho deciso di mettere per iscritto i miei pensieri e le mie…

In questi giorni di quarantena mi sono trovata a riflettere sulla situazione che ognuno di noi sta vivendo. Ho deciso di mettere per iscritto i miei pensieri e le mie riflessioni riguardo a questo momento di difficoltà, che io personalmente sto affrontando con emozioni contrastanti. A volte, non potendomi rassegnare all’idea che tutto sia iniziato per caso, mossa da un potente bisogno di capire il perché di tutto questo, vado compulsivamente alla ricerca di spiegazioni; forse perché per me sarebbe più facile accettare quello che sta accadendo. Ma ragioni non ce ne sono, o quanto meno non è facile individuarle. Altre volte invece, sentendomi impotente, mi rifugio nel mio “nuovo mondo” fatto di piccole e semplici cose, ma comunque molto gratificanti, che spesso si danno per scontate. Qui nel mio mondo, prevale la rassegnazione, mi siedo e aspetto che la corrente mi trascini a riva. Forse è questo lo spirito giusto per vivere più serenamente questo periodo? Ancora devo capirlo. Una delle emozioni che in questi giorni non è venuta a bussare alla mia porta è la rabbia. Quella proprio no. Perché avere bisogno di odiare?

Purtroppo, ancora una volta, ci siamo ritrovati a riversare la nostra rabbia contro chiunque ci apparisse “responsabile” o “potenziale responsabile” della diffusione del virus. Vi ricordate qualche mese fa quando ancora l’Italia sembrava essere immune al Coronavirus come ci siamo accaniti contro la popolazione cinese residente nel nostro Paese? È toccato per prima ai cinesi, perché ritenuti gli untori di quella che di lì a poco sarebbe stata definita una pandemia. Abbiamo di colpo smesso di consumare cibo nei loro esercizi, ad emarginarli, fino ad arrivare alla violenza verbale e fisica. Ironia della sorte, ora che siamo incappati anche noi, insieme a tanti altri Paesi, nel tunnel del Coronavirus, i cinesi ci vengono in soccorso.  Non ho bisogno di aggiungere altro. Ma le manifestazioni di rabbia e risentimento per questa situazione a dir poco frustrante e angosciante non hanno colpito solo la popolazione cinese, bensì qualsiasi individuo che venisse reputato, in maniera azzardata vorrei aggiungere, come civicamente e umanamente irresponsabile. Sarà capitato quasi ad ognuno di noi di essere stato vittima, di aver assistito o di aver sentito parlare di episodi di aggressione verbale da parte di soggetti profondamente indignati di fronte ai comportamenti non conformi alle disposizioni emanate dal decreto di alcuni cittadini. La rabbia è sfociata nella violenza verbale a scapito di tutte quelle persone considerate untori per aver portato il bambino al parco, perché amanti della corsa e dell’attività all’aria aperta, più comunemente definiti runners, o perché avvistati per strada, senza avere la minima idea del perché quella persona si trovava fuori casa in quel momento.

È accaduto pure a me. Qualche settimana fa mentre stavo ritornando a casa sono stata aggredita verbalmente da una donna che si trovava davanti al suo portone, impegnata a controllare chi infrangesse le regole. Premetto che non ho risposto alle provocazioni di questa persona che mi ha dato dell’“ignorante” e della “pezzo di merda” per avermi vista per strada. Oltre agli insulti, mi ha accusato di essere una delle responsabili di questa situazione. Il tutto è stato urlato a squarciagola dall’altra parte della strada. Con questo non voglio di certo dire che chiunque sia autorizzato a mettere da parte il proprio senso di responsabilità ed infrangere le regole, tutt’altro. Ma credo che questa violenza non porti nulla, non dobbiamo per forza cercare un colpevole da condannare. Spero che usciti da questo periodo difficile saremo diventati tutti più umani. Non perbenisti, ma umani.

Commenti disabilitati su L’umanità ha bisogno di umanità

“E poi è arrivato il Coronavirus…” diario di una settimana sospesa

Tra contratti di lavoro sfumati, colloqui via Skype, un ragazzo di origine albanese, ospitato da una famiglia di Narni, ci racconta lo scorrere lento delle sue giornate. Il 29 gennaio…

Tra contratti di lavoro sfumati, colloqui via Skype, un ragazzo di origine albanese, ospitato da una famiglia di Narni, ci racconta lo scorrere lento delle sue giornate.

Il 29 gennaio 2020 ho terminato il mio ciclo di studio e ho acquisito un attestato del CFP in Aiuto cuoco. Da quel momento ho iniziato a portare fisicamente curriculum vitae in ogni dove e mi sono anche iscritto a tante piattaforme per la ricerca di lavoro.

Dopo circa un mese la mia ricerca sembrava coronata da successo: la società di ristorazione turistica Cafè Teatro mi aveva fissato un appuntamento di lavoro per il 14 marzo a Roma e poi ero stato contattato da un bar/tavola calda di Narni per iniziare il mio periodo di prova giovedì 5 marzo 2020 alle ore 11:00.

Poi è arrivato il “Coronavirus”

Giovedì 5 marzo, mi sono alzato di buon’ ora, mi sono preparato, ho preso la mia divisa lavata e stirata di fresco, ero in procinto di vestirmi quando mi hanno chiamato al telefono e mi hanno detto di non andare perché il pomeriggio precedente erano state chiuse le scuole e quindi già si vedeva che il mio lavoro per il momento non sarebbe stato necessario, ma che a situazione mutata mi avrebbero richiamato.

Archivio il mio possibile lavoro al bar e aspetto l’appuntamento del 14 marzo a Roma.

La mattina del 9 marzo messaggio WhatsApp dal Cafè Teatro che mi dice che a causa del decreto del 9 marzo del Presidente del Consiglio dei Ministri non era possibile effettuare il colloquio in persona ma via Skype per il pomeriggio seguente.

Colloquio effettuato, seguito da messaggio il 13 marzo in cui mi si dice che è stato positivo e che ci aggiorneremo via WhatsApp.

Ed ora sono qui chiuso in casa che aspetto, anzi siamo qui chiusi in casa, io e la mia molto allargata famiglia.

Tutti noi cerchiamo di far passare il tempo impegnandoci su più fronti.

Di seguito le mie azioni al fronte…

Lunedì 16 marzo

La casa in cui io vivo ha anche un po’ di terreno in cui ci sono viti ed ulivi ed io dopo essermi svegliato di buon’ora ho aiutato a raccogliere e portare al magazzino, dove sarebbero state bruciate, i resti della potatura delle viti effettuata da Tahir il giorno precedente. Questo era un lavoro assolutamente nuovo per me ma non mi è costata  alcuna fatica, anzi è stato un buon diversivo.

Poi  sono tornato ad un lavoro a me più congeniale e quindi ho  apparecchiato la tavola per il pranzo e per la cena.

Martedì 17 marzo

Martedì è stato un giorno più normale, mi sono  svegliato, ho parlato al telefono con la mia famiglia a Tirana, ho aiutato in casa  con le faccende domestiche, preparando la tavola per il pranzo e per la cena e nel pomeriggio ho guardato una serie tv su Netflix , “Peaky Blinders”.

Serie avvincente ambientata all’inizio del XX secolo in Inghilterra, precisamente al termine della seconda guerra mondiale.

Mercoledì 18 marzo

Dopo aver fatto colazione ho letto un po’ di annunci di lavoro con il  telefonino,  ho aiutato in  casa e cosa inedita per me ho portato fuori il cane, Stella, vincendo la mia ritrosia per questi animali.

Nel pomeriggio ho  messo in pratica i miei studi e ho preparato la cena: frittura di pollo e patate. Apparecchiato tavola, cenato, serie tv e a letto.

Giovedì 19 marzo

Svegliato, attualmente sempre abbastanza presto, dopo aver fatto la colazione sono stato in camera a parlare con la mia famiglia.

Ho come sempre preparato la  tavola per il pranzo e  dopo mi sono inventato aiuto compiti di inglese, traduzione, testo e relative domande, per Bradi, il ragazzo quasi mio coetaneo che vive qui e che frequenta il terzo Liceo Scienze Umane.

Prima del Coronavirus

Venerdì 20 marzo

Nella mattinata di oggi mi sono dedicato alla lettura di annunci sul   PC, ho pranzato e dopo pranzo sono stato destinato ad un nuovo fronte: sorveglianza in giardino di tre bambini: Erius 10 anni, Mariela 9 anni. XhorXhina (Giorgina) 6 anni. Esperienza sicuramente più devastante della raccolta potatura.

In serata per la cena sono tornato aiuto cuoco con Paola..

Sabato 21 marzo

Mi sono svegliato presto per andare con Paola alle ore 08:00 a Narni Scalo.

Visti i divieti ci siamo muniti di modelli di autocertificazione, che cambiano tutti i giorni, e mentre lei faceva spesa io ho a preso l’acqua alla fontana/erogatore.

Tornati a casa abbiamo fatto colazione con i diversi componenti della famiglia poi nella prima mattinata messo in ordine la mia stanza.

Nel pomeriggio, con Bradi abbiamo  guardato un film.

Domenica 22 marzo

Domenica molto rilassata: dopo aver fatto colazione ho finito di sistemare la mia stanza e nel pomeriggio ho aiutato Bradi a finire i compiti da spedire alle sue insegnanti, poi con Paola ho preparato la cena.

Commenti disabilitati su “E poi è arrivato il Coronavirus…” diario di una settimana sospesa

Non giudicarmi, sono come te!

“Ti sei mai visto? Non sei italiano, anche se sei nato qui”. “Non piacerai mai a nessuno, per il colore della tua pelle!”Potrei fare una serie di elenchi per descrivere…


“Ti sei mai visto? Non sei italiano, anche se sei nato qui”. “Non piacerai mai a nessuno, per il colore della tua pelle!”
Potrei fare una serie di elenchi per descrivere il modo in cui molte persone offendono il prossimo. Il razzismo, che grande guerra è.


Io sono angolana, africana e nera. Fiera delle mie origini. Ma spesso porto addosso il peso di essere nata là, in quella patria e nazione (che meraviglia la mia Angola!), dove esiste il miscuglio di “razze” – se così posso dire-, anche se il termine non mi piace, io che ho la famiglia mista, fatta di bianchi portoghesi, mulatti angolani e neri angolani.


Non giudicarmi anche se credi che guardando la tv hai capito tutto di me, ci sono confini e luoghi invalicabili nell’essere persone, ci sono un mare immenso di dolore nei muri inflitti da sorrisi, ci sono troppi segreti forse in questa persona che sono.
Segreti che preferisco nessuno conosca. La sofferenza di una terra a cui appartengo e che non mi riconosce come cittadina, segreti in una famiglia in cui sono nata; solo perché i miei genitori non sono della stessa città, è Maka= è problema… essere il miscuglio tra nord e sud, nella mia famiglia, soprattutto quella paterna, diventa questione di astio. Vogliamo parlare di razzismo quando siamo in terre estranee, ma di quello che succede già da
lì, da dove partiamo non è razzismo? Non odiarmi fratello, sono come te. In questo colore esistono le vene, e scorre lo stesso sangue. Perciò amati amandomi.
Cosa c’è di sbagliato nel voler essere il mondo? Siamo nati liberi, perché per il colore della mia pelle devo sentirmi più limitata?

Meno libera nel poter realizzare i miei sogni come nel poter vivere il mio giorno per giorno. Voglio un mondo senza pregiudizi, senza limitazioni, senza chiusura, senza nessun tipo di barriera e offese gratuite. Perché siamo una sola razza: la razza umana. Il razzismo non è definito tale solo perché viene fatto da un popolo bianco verso le persone di un altro colore di pelle, in questo caso pelle nera, ma è razzismo già il modo in cui chiamiamo l’altro; ad esempio, invece di chiamarmi per nome, mi identifichi come quella razza di colore.

Anche questo è razzismo. È così che il razzismo non ha confini e si estende anche tra persone dello stesso colore di pelle, tra neri e neri e tra bianchi e bianchi. Dobbiamo saperci adattare alla realtà, il mondo è vasto e siamo
tutti diversi. Ma apparteniamo a un unico globo. Il mondo .

Commenti disabilitati su Non giudicarmi, sono come te!

Due buoni motivi per continuare a essere razzista

Blogniù nasce per parlare di diversità culturale. Purtroppo legato a questa tematica c’è spesso l’argomento razzismo, tanto che ci troviamo spesso a trattarne, scrivendo articoli in cui parliamo della bellezza…

Blogniù nasce per parlare di diversità culturale. Purtroppo legato a questa tematica c’è spesso l’argomento razzismo, tanto che ci troviamo spesso a trattarne, scrivendo articoli in cui parliamo della bellezza della multiculturalità e, conseguentemente, quanto ci si perda a non volerla vedere discriminando il diverso.

Ciò significa che se non esistesse chi discrimina noi non avremmo bisogno di scrivere buona parte dei nostri articoli. Oggi, in occasione della settimana contro il razzismo, mi sono chiesta perché privarmi di così tanto materiale di scrittura. D’altronde se non ci fosse il bisogno di informare la gente sull’importanza dell’integrazione, sull’apprezzare la diversità e sul ‘non hai motivo di essere razzista perché’ per chi scriverei?

Perciò con questo articolo ho deciso di autoalimentare il mio mercato e darvi due motivi per essere razzisti e, se lo siete già, per continuare a farlo senza fastidi.

  1. Il razzismo culturale (o neo razzismo)

Nel 2020 si è universalmente considerati degli ignoranti se si dice “ce l’ho con lui perché è musulmano” o “ce l’ho con lui perché è terrone”. Come si può continuare a discriminare una categoria diversa indisturbati? Beh, ad una società più colta va un razzismo più colto: non si dirà più “non mi piacciono i musulmani” ma “non mi piace il modo in cui i musulmani (tutti) trattano la donna” o “non mi piace che i musulmani facciano il ramadan” o ancora “non è che non mi piacciono i terroni, è che sono tutti pigri”.

Insomma, motivare le proprie discriminazioni abbozzando delle argomentazioni riferite alla cultura del discriminato è una delle maniere più popolari per non essere tacciato di xenofobia e, a volte, passare persino per quello intelligente che non ha paura di dire cose scomode.

Attenzione però: con i dati alla mano o un po’ di spirito analitico c’è il rischio che il vostro interlocutore possa controbattere. In tal caso dite “non è questo che intendevo” poi continuate a ripetere ciò che stavate dicendo prima di essere interrotti. Questo dovrebbe permettervi di non fare brutta figura, tuttavia meglio prevenire il problema mantenendo le vostre argomentazioni in superficie: per scendere in un dibattito sul perché sia giusto criticare qualcuno che digiuna di sua spontanea volontà senza dare fastidio a nessuno ce ne vogliono di argomentazioni a favore.

  • Dagli all’untore

Ho intitolato questo paragrafo con la frase che i popolani ne I Promessi Sposi gridano a un ingenuo Renzo, convinti che stesse volontariamente diffondendo la peste per la città: ovviamente il protagonista era innocente e il popolo, preso dal panico, aveva bisogno di dare un volto al perché delle proprie disgrazie.

Nel corso di un anno ci accadono molte cose negative. Alzi la mano chi non è stato assunto al lavoro, chi si vede raddoppiare le proprie bollette di anno in anno o chi pensa di pagare troppe tasse rispetto a quello che guadagna.

Trovare causa e soluzione a questi problemi è un processo che richiede molta analisi e riflessione e sono processi che non sempre dipendono da voi. Potremmo aggiornare il nostro CV, potremmo insistere per far riparare definitivamente il rubinetto della cucina che perde acqua o potremmo metterci a ragionare sul perché le tasse siano così alte e magari studiare un modo per richiedere una soluzione.

Ma stare a riflettere su tutte queste cose richiede tempo: c’è una casa da gestire, i bambini da prendere a scuola per portarli a calcetto, lo studio per gli esami e una vita sociale da mantenere. In più trovare canali di informazione attendibili richiede tempo.

E allora con chi ce la prendiamo? Contro quale muro sbattiamo la testa?

Per fortuna esiste sempre qualche minoranza con meno mezzi per tutelarsi. Non li conosciamo bene, è più facili incolparli senza che possano replicare.

Quando queste minoranze, questi stranieri, sono fuori dal mercato del lavoro possiamo considerarli pesi da mantenere, quando vi accedono hanno rubato la professione a qualcun altro. Semplice, no?

Ci permette di sfogare il nostro stress senza temere ripercussioni, tanto i diversi sono meno (e meno integrati nella società) di noi. In più possiamo non intralciare le nostre numerose attività quotidiane perdendoci dietro a mille ragionamenti sui perché dei nostri problemi o sui canali di informazione (prima per trovarli poi per capire che dicono) a cercare di capirci qualcosa in più.

A maggior ragione quando la soluzione sembra dipendere così poco da noi.

Commenti disabilitati su Due buoni motivi per continuare a essere razzista

Non ce l’ho fatta

Il giorno in cui sei arrivato nel mio cammino, non ero preparata; nessuno prepara qualcuno per una tale situazione e, nemmeno per questa negazione, così mi sono fatta trasportare dalla…

Il giorno in cui sei arrivato nel mio cammino, non ero preparata; nessuno prepara qualcuno per una tale situazione e, nemmeno per questa negazione, così mi sono fatta trasportare dalla voce dannata: Abortire.

Tu innocente creatura, venuta verso me ad un passo dal raggiungimento di un sogno: il matrimonio, poiché a 30 anni io pensavo “ sono cresciuta abbastanza, mi sono laureata, vorrei sposarmi e formare una famiglia”.

Io una donna sola, e senza un lavoro, che vive all’estero senza l’appoggio economico di nessuno, non potevo farcela: dopo la laurea, per me, il prossimo passo doveva essere sposarmi per poi averti; ho sempre avuto una logica vitale, un piano di vita tutto mio: STUDIARE, SPOSARMI E AVERE FIGLI.

Da sola, senza il supporto della mia famiglia come potevo tenerti? In questo paese dove mi sento straniera e sono estranea per gli altri, no, non è stato possibile, fosti una brutta sorpresa perché sei arrivato quando non avevo nemmeno un lavoro, in modo burrascoso, in questo scenario che è la vita.

Quando ho optato per l’aborto, sapevo che ti stavo distruggendo dentro me, ma ho giurato a me stessa che l’amore mio eri solo tu, la perdita di quel sogno tanto auspicato se n’è andato con te. Che vita potevo mai offrirti? Quindi disfarmi di te fu l’unica opzione.

Con te in grembo ho pensato: ”deludo lui. Il mio eroe, deludo i miei ed i suoi sogni”. Non potevo deluderlo, anche se mi trovavo dall’altra parte del globo, sapevo che non potevo, poiché la gente lo avrebbe ucciso con i giudizi. Non ero ufficialmente legata a tuo padre, e lui, a quanto pare il bastardo negò di volerti e rifiutò anche me.

Mi fa male, oggi più che mai. Veder un desiderio infranto proprio nel momento giusto, anche se solo per l’età. Sono stata delusa, io sempre determinata e forse fin troppo dentro le regole; io che non sgarro mai,
invece con te ho commesso un delitto. Ingiusto e doloroso fu per me negarti la vita, un futuro ed un’esistenza, ma ero fragile e legata ad un amore malato, vuoto e sterile. “capiscimi!”.

Ti ho tanto amato prima di averti nel grembo ma, anche odiato per l’incidente di percorso. Perché sei arrivato senza progetti. Fragilmente, non ti ho saputo amare. Oggi vorrei farmi perdonare e amare una vita più di te, accudire qualcuno come avrei voluto farlo con te…

Chissà se stai dormendo!

Commenti disabilitati su Non ce l’ho fatta

Due ragazzi innamorati come noi, due africani in questa Europa

Con le mani fredde, scrivo di questo cuore caldo, sorridente, accogliente e tante volte fragile.  Scrivo di un amore mai provato, forse… un amore autunnale, un amore cresciuto piano piano,…

Con le mani fredde, scrivo di questo cuore caldo, sorridente, accogliente e tante volte fragile. 

Scrivo di un amore mai provato, forse… un amore autunnale, un amore cresciuto piano piano, un amore alimentato da parole sincere, desideri soffocati da impegni quotidiani.

Noi due, africani, tu della Nigeria ed io dell’Angola, ma che grazie a questa bella Italia ci siamo innamorati.

Sei così totalmente africano, forse è il tuo essere nigeriano che ti distingue dal mio essere non pienamente angolana.

Parlo! Quasi arrivo ad urlare, urla d’amore… voglio viverti, adesso voglio esserci, adesso sono pronta per quel domani e quest’oggi che rappresenta il futuro che vorrei assieme a te.

So che per te stare insieme in un paese straniero non è la stessa cosa, ma ti devi integrare. La vita non è una favola, ma l’amore delle volte ci cambia e salva. Avremmo tanto da affrontare e tu che sei così benedettamene testardo, questo complica la nostra realtà.

Tesoro mio con te voglio quella realtà tanto desiderata, avere la nostra casa e i bambini tanto sperati, costruire la tua africa in questa nostra realtà europea.  Ma se tu continui ad essere chiuso alle cose da questa parte e vivere come se fossi ancora in Nigeria, tutto si complica anche per me. Il tuo amore non reggerà tutto, non reggerà le difficoltà esistenti in quest’oggi; la mancanza di soldi per poter pagare l’affitto, è la nostra realtà, hai un lavoro precario amore mio, ed il mio titolo pare che non serve a niente, almeno oggi. Tu mi prometti mondi, ma se non ti integri che senso hanno le tue promesse.  Guarda la vita a 360 gradi, io non sono una roccia ma so che essendo africana, sono forte, noi africani abbiamo i nostri modi di vedere il mondo e di vivere la realtà. Abbiamo mantenuto le tradizioni e ce la portiamo ovunque andiamo. non chiuderti le barriere, non chiuderci un destino che potrebbe rivelarsi quello giusto per te e me.

Qui in Italia ci sono leggi severe, leggi italiane che vengono rispettate, a differenza nostra dove la maggior parte delle persone non le rispetta.

Esistono diritti e doveri, diritti che ci spetta anche a noi in quanto esseri umani, e doveri che dobbiamo rispettare in quanto cittadini facente parte di una bellissima comunità: l’Umbria.

Perciò smettila di lamentarti, smetti di paragonare la tua tanto amata terra nigeriana alla realtà italiana in particolare.

Oggi sentiamo parlare di molte cose spiacevoli che accadono in Nigeria e non solo lì, ma ora vuoi dirmi che lì staresti meglio?

Le persecuzioni religiose che là esistono, tu non le hai mai provate sulla pelle? Di queste varie ragazze che vengono mercificate con destino una vita di prostituzione, non ne hai mai sentito parlare? Qui c’è la speranza, è la terra della speranza. Una speranza che là non troviamo.

Qui caro, grazie al cielo ti puoi creare un futuro, difficile il cammino ma non impossibile, futuro nostalgico perché è in africa dove vogliamo vivere alle condizioni di una realtà europea, senza guerre, senza conflitti come quelli esistenti nella maggior parte dell’Africa, e dare un futuro ai nostri figli e non costringerli ad essere bambini soldati. Hai nostalgia di casa, conosco la sensibilità del tuo essere, conosco tutto ciò perché ti guardo con gli occhi di una ragazza innamorata, una ragazza che ama, ama anche i particolari.

Vorresti andare via da Perugia, questa città che mi ha dato tanto e insegnato. Abbi pazienza, tutto nella vita viene piano piano e nel tempo giusto, ti devi assaporare anche la sofferenza per amare il valore della vittoria, il saper di aver superato qualcosa e raggiunto un obiettivo a te molto caro, aver realizzato sogni come qualunque altro italiano. Lo so, non è facile stare qui, e non poter più ritornare a vedere la tua famiglia, lì nella terra che tanto ami per le persone che hai lasciato, ma che odi per via delle decisioni che ti hanno costretto a prendere.

Viviamo l’oggi, perché del domani non sappiamo dove saremmo e se ci saremmo. Abbi più coraggio di me, io che con le parole ti so scuotere, ti so sgrullare, eh si, tu sei per me importante, sappi che io do molta importanza alla parola importante.

Amore, dolce caro amore, quanto è bello essere i numeri 1, io e te che ci completiamo, io e te che ci apparteniamo. Ma non voglio più fantasticare, la realtà è troppo dura, e questa nostra realtà da immigrati lo è ancor di più, ma per amore io voglio che ci reinventiamo, ci ricostruiamo e finalmente viviamo la vita. Ma non dimenticando di quello che siamo, e quello che possiamo diventare, insieme.

Commenti disabilitati su Due ragazzi innamorati come noi, due africani in questa Europa

Un ponte tra Perugia e Tunisi

Iniziamo dicendo che no, non è l’incubo peggiore di qualsiasi nazional-sovranista europeo, ma l’idea che ha portato alla nascita dell’Open Art Week (WAO): incontri, mostre e spettacoli di arte contemporanea,…

Iniziamo dicendo che no, non è l’incubo peggiore di qualsiasi nazional-sovranista europeo, ma l’idea che ha portato alla nascita dell’Open Art Week (WAO): incontri, mostre e spettacoli di arte contemporanea, organizzati dall’Associazione REA, che per 9 giorni hanno portato un po’ di Tunisia, la sua parte più vera e libera, in giro per Perugia.

Quello della “Libertà”, con la L maiuscola, è stato un tema che è sempre tornato al centro degli incontri cui abbiamo preso parte. Libertà di vivere al meglio la propria vita e libertà di esprimersi si sono incontrate, fuse, e per la sua prima edizione l’Open Art Week ha scelto proprio Perugia per dare voce e spazio agli artisti partecipanti.

open art week foto Ziad Ben Romdhane minimetrò piramide solfati

Una delle foto di Ziad Ben Romdhane. E no, in Tunisia non ci sono piramidi…

Se avete usato il minimetrò tra il 29 e il 7 ottobre, e vi siete guardati un po’ intorno, forse avrete notato che nelle stazioni hanno trovato posto fotografie, in bianco e nero, che non avevate mai visto prima. Erano le foto scattate da Ziad Ben Romdhane, che ha cercato di raccontare per immagini alcuni aspetti della vita (e qualche assurdità) della Tunisia moderna.

Le abbiamo viste mentre salivamo in centro per andare a vedere uno dei film del WAO proiettati al Postmodernissimo, “El Gort”, di Hamza Ouni. Un documentario frutto di anni di riprese e interviste, iniziato con il padre del regista e concluso non senza grandi difficoltà, come ci ha confessato lo stesso Hamza alla fine della proiezione: “per anni il documentario è stato censurato, la proiezione è stata vietata. È triste come un film girato per i tunisini possa essere guardato solo all’estero. Ora, dopo la fine della dittatura, la situazione in parte è cambiata, però…”. Però, come fanno capire i protagonisti del documentario, alcune cose non cambiano mai: nel loro caso, la miseria e le difficoltà del mercato del fieno, sempre meno redditizio, e che portano molti a sognare di partire, per un posto in cui non siano umiliati dal loro stesso Paese, per cercare altrove fortuna e una vita più facile (anche, a volte, fuori dalla legge); per l’autore, il tendenziale ostracismo di una parte dell’élite del suo Paese per chi cerca di mostrare i problemi dei giovani tunisini.

“La libertà di espressione per voi è una cosa normale; per noi non è stato così, c’è stata una lotta per guadagnarcela durante quella che chiamate ‘Rivolta dei Gelsomini’. Ora possiamo dire cose che prima non potevamo neanche pensare. Anche se quelli che i manifestanti portavano erano machmun, e non mazzi di gelsomini!”. Il sorriso contagioso di Seif Eddine Nechi si riapre solo alla fine del suo commento sulla libertà di espressione. Nella mostra dei suoi fumetti al Tangram ha raccontato di come è diventato uno tra i più apprezzati fumettisti della “nuova generazione” tunisina, di come ha dovuto sgomitare perché lui e il collettivo Soubia, di cui fa parte, avessero uno spazio nella scena culturale di Tunisi. Anche perché i loro fumetti, anche se molto apprezzati dalla critica internazionale, sono in tunisino, sono fatti per i tunisini. Anche a costo di non avere grandi finanziamenti e dover organizzare piccoli eventi o distribuire i fumetti gratuitamente per coltivare la loro passione.

Un altro dei film portati dal WAO al Postmodernissimo, “The Last of Us”, opera prima del 2016 di Ala Eddin Slim, affronta il tema della libertà in un modo completamente diverso, per dire la verità completamente inaspettato. Inizia come potrebbe iniziare un film “normale” (per quanto senza dialoghi) sulla “normale” realtà dei nostri giorni, con due uomini che attraversano il deserto per dirigersi verso il mare. Uno di loro viene fermato quasi subito, da degli uomini che tendono loro un’imboscata, mentre l’altro (dai titoli di coda sappiamo che il suo nome è semplicemente N.) continua il suo viaggio, per poi arrivare alla spiaggia, rubare una barca e salpare verso quella che presumiamo sia l’Europa. Ma non c’è la modernità ad aspettare il protagonista, accolto invece da foreste e nessuna traccia di civiltà o di presenza umana. Fino a quando “incontra” (guardate il film e vi spiegherete il virgolettato) un vecchio cacciatore, coperto da pelli di animale, visibilmente selvaggio.

open art week scena The Last of Us

Una scena da “The Last of Us” di Ala Eddin Slim

Si capisce qui che il film ha lasciato il terreno dalla critica e dell’attualità per entrare nell’immaginifico, che la barca di N. è attraccata nel passato remoto (o nel futuro post-apocalittico, chissà), e che il nostro eroe è all’inizio di un cammino che lo porterà a trovare la libertà non nell’occidente contemporaneo, ma nella natura preistorica, selvaggia e proprio per questo vera.

All’Open Art Week non ci sono stati solo incontri ed eventi per presentare le opere, ma anche workshop aperti a tutti coloro che volessero conoscere meglio una certa espressione artistica, e diventare loro stessi protagonisti dello spettacolo multiculturale che stava andando in scena in quei giorni. Uno degli artisti che si sono prestati è stato il nostro Nechi, che tutti i giorni ha incontrato gli studenti per un laboratorio di fumetti; un altro è stato Rochdi Belgasmi, ballerino e insegnante di danza contemporanea.

open art week spettacolo rochdi belgasmi

Una momento dello spettacolo (dal profilo Instagram del WAO)

Il suo spettacolo, alla Corsia Of, è stato un incredibile incontro tra la danza tradizionale tunisina (in tutte le sue varianti locali) e la danza moderna, in un turbine che non ha risparmiato né il ballerino né i tanti spettatori, chiamati a ballare prima in piccoli gruppi e poi tutti insieme, per condividere un momento di libertà nel ritmo e nella musica tunisina.

Questi sono stati solo alcuni degli eventi che hanno movimentato Perugia nella prima settimana di ottobre; dalla settimana successiva, per altri 9 giorni, la contaminazione artistica si ribalta, con artisti italiani a portare la loro passione a Tunisi, in uno scambio che speriamo rinforzi i legami tra le due (vicine, vicinissime) sponde del Mediterraneo.

Grazie Open Art Week, per favore: torna a Perugia anche il prossimo anno.

Commenti disabilitati su Un ponte tra Perugia e Tunisi

Type on the field below and hit Enter/Return to search